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Salvo Grasso

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L'ELEFANTE INCATENATO

Demiàn: Non posso, non posso!

Jorge: Ne sei sicuro?

Demiàn: Sì, mi piacerebbe tanto sedermi davanti a lei e dirle quello che provo... Ma so che non posso farlo.

Jorge si sedette come un Buddha su quelle orribili poltrone azzurre del suo studio.

Sorrise, guardò negli occhi Demiàne, abbassando la voce come faceva ogni volta che voleva

essere ascoltato attentamente e disse:

Jorge: Ti racconto una storia. E senza aspettare l’assenso di Demiàn iniziò a raccontare.

Jorge: Quando ero piccolo adoravo il circo, mi piacevano soprattutto gli animali.

Ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini. Durante lo spettacolo quel bestione faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune...ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe.

Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri.

E anche se la catena era grossa e forte, mi pareva ovvio che un animale in grado di sradicare un albero potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire. Era davvero un bel mistero.

Che cosa lo teneva legato, allora? Perché non scappava?

Quando avevo cinque o sei anni nutrivo ancora fiducia nella saggezza dei grandi. Allora chiesi a un maestro, a un padre o a uno zio di risolvere il mistero dell’elefante. Qualcuno di loro mi spiegò che l’elefante non scappava perché era ammaestrato. Allora posi la domanda ovvia: “Se è ammaestrato, perché lo incatenano?”.

Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente.

Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante  e del paletto e ci pensavo soltanto quando mi imbattevo in altre persone che si erano poste la stessa domanda. Per mia fortuna, qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato abbastanza saggio da trovare la risposta giusta:

l’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.

​Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso  appena nato, legato al paletto.

Sono sicuro che, in quel momento, l’elefantino provò a spingere, a tirare e sudava nel tentativo di liberarsi.

Ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui.

Lo vedevo addormentarsi sfinito e il giorno dopo provarci di nuovo e così il giorno dopo e quello dopo ancora..

Finché un giorno, un giorno terribile per la sua storia,

l’animale accettò l’impotenza rassegnandosi al proprio destino.

L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché, poveretto, crede di non poterlo fare.

Reca impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata subito dopo la nascita. E il brutto è che non è mai più ritornato seriamente su quel ricordo. E non ha mai più messo alla prova la sua forza, mai più..Proprio così Demiàn.

Siamo un po’ tutti come l’elefante del circo: andiamo in giro incatenati a centinaia di paletti che ci tolgono la libertà. Viviamo pensando che“non possiamo” fare un sacco di cose semplicemente perché una volta, quando eravamo piccoli, ci avevamo provato ed avevamo fallito. Allora abbiamo fatto come l’elefante,

abbiamo inciso nella memoria questo messaggio: non posso, non posso e non potrò mai.

Siamo cresciuti portandoci dietro il messaggio che ci siamo trasmessi da soli, perciò non proviamo più a liberarci del paletto. Quando a volte sentiamo la stretta dei ceppi e facciamo cigolare le catene,

guardiamo con la coda dell’occhio il paletto e pensiamo: non posso, non posso e non potrò mai.

Jorge fece una lunga pausa. Quindi si avvicinò, si sedette sul pavimento davanti a Demiàn e proseguì.

Jorge: È quello che succede anche a te, Demiàn.

Vivi condizionato dal ricordo di un Demiàn che non esiste più e che non ce l’aveva fatta.

L’unico modo per sapere se puoi farcela è provare di nuovo mettendoci tutto il cuore... tutto il tuo cuore!

 

                                                                                                            Tratto da " Lascia che ti racconti " di Jorge Bucay

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Per quanto mi riguarda, il circo non dovrebbe usare/sfruttare nessun animale per i suoi spettacoli e un elefante

(così,come qualunque altro essere) dovrebbe vivere libero e felice.

 

 

 

Nella storia che ci racconta Jorge Bucay traspare tutta la nostra incapacità di vedere la catena che ci trattiene.

Intravediamo il paletto, ma facciamo fatica a leggere cosa ci blocca.

Durante la nostra crescita ci adattiamo e ci identifichiamo con quello che ci accade.

Se poi le stesse dinamiche si ripresentano in più circostanze, le facciamo nostre.

Cresciamo in un sistema di credenze e convinzioni che frenano le inclinazioni, che magari potrebbero contribuire a portarci dove risiede la nostra felicità. A volte, invece, vogliamo scostarci così tanto da ciò che ci ha causato dolore,

che ci lanciamo su modelli e stili che non ci riguardano minimamente.

Va bene tutto, attraverso il nostro vivere, tutto va sperimentato, tutto va vissuto.

Poi, arriva il momento in cui devi scegliere se accontentarti e rimanere come gli altri vogliono che tu rimanga, facendo dignitosamente ciò che gli altri hanno scelto per te, oppure provare a realizzare quello che sei, quello che vuoi. 

La differenza non è solo in quello che fai ma anche nel modo in cui lo fai.

Da sempre ci dicono che ci sono cose che si devono fare, che bisogna fare. Ma tu, in tutto questo dove sei?!

Ti sei mai chiesto cosa ti piace davvero, cosa ti fa vibrare il cuore..

 

A volte passiamo così tanto tempo ad occuparci di apparire come dobbiamo apparire, ad essere come dobbiamo essere, che non sappiamo più nemmeno cosa realmente vogliamo, chi siamo. Abbiamo riempito quel vuoto che avevamo dentro, con quello che ci davano, con ciò che ci sembrava potesse andar bene, e poi, anche quando ci siamo accorti che non faceva per noi, che quel lavoro, quella vita, quel modo di vivere non era nostro,

ci siamo detti; oramai, cosa vuoi? alla mia età? dove devo andare? ho il mutuo da pagare, ho dei figli,

delle responsabilità, non posso cambiar lavoro, sono vecchio, sono una mamma.

E' vero, sono tutte argomentazioni legittime. Ma sono anche scuse, paure e pigrizie.

Ci siamo accontentati e alla fine abbiamo imparato anche a convivere con quella sensazione di vuoto.

Siamo così terrorizzati dall'incertezza, che preferiamo continuare a fare ciò che facciamo,

quasi per inerzia, per abitudine. Del resto, ci hanno sempre detto di lavorare,

comprare una casa possibilmente, sposarci e metter su famiglia.

Ma nessuno o quasi ci ha mai detto di essere felice, nessuno ci ha mai detto: prima di ogni cosa sii felice.

 

Fermati un attimo..Ti ricordi da bambino cosa ti piaceva fare? A quale gioco ti  piaceva giocare?!

Prova a pensare, una cosa che annienta il tempo, che ti appassiona così tanto da dimenticartene. Magari quando scrivi? Forse mentre cucini? Oppure ti perdi quando costruisci un mobile. Ti piace cantare, ballare, dipingere, leggere, parlare.. Qualunque cosa. Magari anche più di una. Se escludiamo il piacere e l'amore che provi con gli affetti della tua vita, cosa ti piace fare?! Quale è la tua passione? Forse non lo sai perchè non ci hai mai pensato! Ma puoi scoprirlo se vuoi.

 

Non rimandare questa scoperta a qualcosa di cui ti occuperai un giorno, quel giorno non esiste e probabilmente non arriverà mai. Mentre posticipi di vivere, la vita sta passando.

"Adesso" è l'unico momento in cui puoi decidere se esistere o apparire, se essere o sembrare.

Nessuno ti sta chiedendo di mollare il lavoro, la famiglia e tutto il resto per andare  a fare la magliaia di vestitini

per criceti!!! Ma se è quello che sogni di fare allora fallo! Provaci con tutto il cuore.

Ogni giorno, riserva una fetta di tempo alla tua felicità, che sia un ora o una mezzoretta, passala solo con te. Prendi un appuntamento con te stesso, per fare ciò che ami.

Creati uno  spazio sacro e dagli tutta l'importanza che meriti. Non devi essere brava a dipingere come Van Gogh,

non devi avere l'inventiva e il genio di Leonardo Da Vinci. Devi essere tu e basta. Prendi spunto dai più grandi se vuoi,

ma non paragonarti non inseguirli, loro hanno fatto il meglio per ciò che li riguarda, tu farai il meglio per te,

con quello che hai e come puoi. Sarà perfetto e unico perchè sarai tu e basta.

 

Se ogni artista; dalla musica alla cucina, dal fai da te al cinema avesse guardato con timore i migliori esponenti

del proprio rispettivo campo (rinunciando alla propria passione) allora non avremmo avuto più nulla.

Nessuno avrebbe fatto o creato più niente!

Potrà sembrarti lontano il modello che hai, magari in lui vedi del talento che non riconosci in te.

Ma questo non deve bloccarti, il tuo modello si trova in una visuale privilegiata dall'importanza e l'attenzione che gli dai e che non dai a te stesso. Prova a guardarti con gli stessi occhi e la stessa ammirazione che riservi a lui.

 

L'umiltà  di apprezzare e riconoscere il talento degli altri è un sentimento nobile. Continua tranquillamente ad ammirare chi vuoi, prendi spunto da loro, ma non inseguirli. Questo vale per qualunque cosa, che tu voglia cantare o fare crostate. Se ami fare il gelato e pensi che sarebbe bello vivere di questo, ma nel paese in cui abiti c'è la gelateria migliore della tua regione, fallo, fallo comunque. Il tuo sarà un gelato diverso, unico, perchè è quello che fai tu, con il cuore, con tutta l'anima. Non so se fare il gelato diventerà la tua professione ma tu fallo per l'amore che provi nel realizzzarlo. Non puoi sapere dove ti porterà tutto questo ma sicuramente ti farà felice, farai felice chiunque lo mangerà, perchè avrà il sapore dell'entusiasmo, dell'armonia, dell'immenso. Quella mezzora, quell'ora solo tua, si dilaterà, influenzerà di gioia ogni cosa e in te avverrà quella trasformazione che stava lì ad aspettarti, da sempre. Fare il gelato diventerà fare vita, diventerà fare amore e la cosa più bella accadrà quando non ci sarà più differenza tra ciò che sei, ciò che fai e ciò che ami.

 

 

 

" Non chiedetevi di cosa ha bisogno il mondo; non chiedetevi cosa pensano gli altri che voi  dobbiate fare della vostra vita. Chiedetevi invece cosa vi rende vivi, perchè più di qualsiasi altra cosa, quello di cui il mondo ha bisogno sono uomini e donne pieni di vita"

 

 Wayne W. Dyer

                                                                                                                                                                  

Cosa vuol dire Coach?

Coach in Inglese vuol dire Allenatore ma anche Vettura o Carrozza.

Coaching (allenamento) nel senso più stretto del termine infatti significa  spostarsi da A a B.

To travel coach vuol dire viaggiare in vettura.Spostarsi da un punto di partenza ad un punto di arrivo.

Il Coaching è una strategia formativa che punta alla trasformazione personale per migliorare la propria capacità di raggiungere determinati obiettivi personali o professionali (da soli o in team). Si prodiga alla conoscenza e all'amplificazione delle prprie potenzialità, allo sviluppo della consapevolezza delle proprie risorse e all'aumento della propria soddisfazione e del proprio senso di realizzazione.

Il Coach non giudica, non fornisce soluzioni con pacchetti preconfezionati di felicità ma ascolta in maniera attiva il cliente, con l'apertura del cuore e della mente aiutandolo nella visione alternativa e differente dell'eventuale problema, formulando insieme un piano per lo scopo prefissato.

La struttura del Coaching , cambia sfumatura in base al contesto e al modo in cui viene usato.

Può apparire anche  in altri aspetti. Per citarne qualcuno, possiamo prendere l'esempio del Mentoring, Sponsoring e Risvegliare.

 

 

            Mentoring

          Sponsoring

         Risvegliare

Consiste nel guidare la persona a scoprire le proprie competenze inconsce e potenzialità, a superare le resistenze attraverso le proprie qualità. Con la saggezza del mentore si innesca nel cliente la

libertà di rivelare la propria autonomia personale. Diventando capace di portare con se un mentore interiore, disinnescando ogni

eventuale pericolo di 

dipendenza dal Coach.

Si focalizza  

sullo sviluppo dell'identità e dei valori principali salvaguardando il potenziale e l'essenza della persona. propone qualcosa che è già all'interno ma che non ha ancora trovato la sua espressione. Gli Sponsor consentono al cliente di sviluppare e potenziare il proprio talento e le proprie abilità.

Va oltre il Coaching e tutti i suoi aspetti più immediati.  Il Coach fornisce al cliente il supporto adatto al suo modo personale di entrare in sintonia con il sè. Attraverso la proria integrità e congruenza mette in condizione  la persona di esplorare in armonia la sua concezione spirituale. Senza trascurare mai la pragmaticità, lascia al cliente la totale libertà di espandere tutte le dimensioni dell'essere.

 

 

 

 

Le origini del Coaching

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Socrate (470/469 a.C. – 399 a.C.) è considerato il padre ispiratore del Coaching.

Il Filososo Greco  stimolava con domande efficaci le persone a trovare la propria strada,

la propria verità. A differenza di quanti volevano imporre le proprie vedute agli altri con la retorica e l’arte della persuasione. Socrate filosofava attraverso un dialogo fatto di brevi domande, senza mai forzare o suggerire risposte. Tirava fuori dall'allievo, pensieri ed opionioni spronandolo a cercare dentro di sé con le proprie risorse interne, le  risposte in maniera consapevole e autonoma che inevitabilmente portava anche ad una nuova e profonda consapevolezza. A metà dello scorso secolo, alcuni psicologi come Carl Rogers

e Abraham Maslow con le loro teorie sul potenziale umano, svilupparono tecniche e nuovi approcci per supportare la persona verso il raggiungimento di un livello soddisfacente di benessere e felicità. Tra cui il Counseling e la Mindfulness. Di pari passo lo sviluppo del potenziale personale nello sport e la nascita della PNL (ProgrammazioneNeuroLinguistica) portarono alla nascita o consolidamento del Coaching che si diffonde dapprima nelle

grandi multinazionali americane, per poi giungere all’inizio del nuovo millennio anche in Europa. Per questo motivo, quando si parla di Coaching quasi sempre si fa riferimento al corporate, all'executive, al business Coaching.

 

Life Coaching

La frenesia, Il tempo che non basta mai, lo stress, i ritmi elevati e smodati della vita contemporanea, hanno spinto l'individuo a cercare un benessere personale che possa collocarsi oltre la propria condizione attuale. Il desiderio, l'esigenza di spostarsi in una situazione migliore rispetto al modo abituale con cui si percepiscono le cose, la voglia di stare bene, di sentirsi meglio, di superare certi limiti per raggiungere i propri obiettivi. Tutto questo e non solo ha portato sempre più al diffondersi del Life Coaching, Un ramo del Coaching  focalizzato al sostegno umanistico della persona.  Il Life Coach aiuta il cliente a valutare altre angolazioni dell'eventuale disagio che sta vivendo, analizzando l'immagine della situazione che lo vede in difficoltà, lo aiuta a guardare oltre alle apparenze che lo bloccano. A riscoprire i propri sogni, a dare vita e proprie energie ai progetti. Lo mette nelle condizioni di essere consapevole e responsabile della propria vita, Il coach fa da supporto, ma è il cliente che pianifica la strategia migliore per il raggiungimento dei propri scopi. Ascolta in maniera attenta e senza giudizio, fa da specchio, da cassa di risonanza in modo tale che il cliente stesso possa rendersi conto delle sue personali, immense ed uniche potenzialità. 

pulizie industriali

"L’essere umano è parte di un tutto che definiamo “universo”… una parte limitata nel tempo e nello spazio. L’esperienza che fa dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri è separata dal resto – una sorta di illusione ottica della sua coscienza. Questa illusione rappresenta per noi una specie di prigione, che fa sì che ci limitiamo ai nostri desideri personali e all’affetto per le poche persone più vicine a noi. Il nostro compito deve essere quello di liberarci da quecta prigione ampliando il nostro cerchio di empatia, così da abbracciare tutte le creature viventi e l’intera natura nella sua bellezza "

 

Albert Einstein

Spiritual Coaching Transpersonale

Per Spiritualità non si intende qualcosa di religioso, non si basa su dogmi e su credenze in questo o in quel Dio. Il termine Spirituale si riferisce alla percezione che le persone hanno dei sistemi più complessi che ci influenzano, di quei sistemi non ben definiti che spesso danno uno scopo alle azioni, il fine ultimo. La sensazione di appartenere a qualcosa di più grande, in cui tutti fanno un viaggio, con la propria integrità, con la loro luce e le loro ombre.  Lo Spiritual Coaching sostiene un’altra persona fornendo contesti ed esperienze che fanno risaltare il meglio dell’intelligenza emotiva e della consapevolezza del proprio scopo, del sé e dei sistemi superiori ai quali appartiene. Il Coach aiuta una persona a diversi livelli: nei suoi problemi quotidiani, abituali a livello del fare; nelle idee, nelle credenze, nei pensieri che lo condizionano.

A livello di mentalità e conoscenza; nell’aspirazione all’esplorazione dei propri stati interiori, nel contatto con la propria parte più autentica, a livello dell’Essere. Può farlo sotto forma di consulenza, di orientamento, di stimolazione, facilitazione di processi di cambiamento. Nel Coaching Spirituale, accompagna la persona alle porte che aprono nuove dimensioni di esistenza. Sulla soglia della propria intimità spirituale, dove ognuno di noi si connette con la totalità a cui appartiene, attraverso le proprie e indiscutibili iclinazioni personali.

Robert Dilts dice; che quando le persone cominciano a svegliarsi spiritualmente, anche in minima parte, vedono improvvisamente ombre che non avevano mai visto prima, perché la luce è diventata più forte. Svegliarsi in questo modo

è di solito stimolante, ma non sempre piacevole. Ecco perché aiutare gli altri a risvegliarsi richiede abilità e sensibilità. Risvegliare gli altri implica l’accettazione incondizionata della loro identità e del loro modo di essere.

Transpersonale è un termine coniato da Roberto Assagioli, usato poi da molti Psicologi come Carl Gustav Jung, Abraham Maslow, Freud e Viktor Franki. La parola collega la preposizione "Trans" (oltre) al termine "Personale" ovvero Persona. Il Coaching Transpersonale è come la terra di mezzo, la zona d'incontro tra la visione scientifica e la tradizione spirituale. Una concezione che unifica Corpo, Mente, Anima, Spirito.

Per comprendere bene il significato, l'origine e la missione del Coaching Transpersonale possiamo affidarci alle parole di John Whitmore. Nel suo libro "Coaching" scrive:

 

Molti anni fa fui attratto dalla profondità della psicosintesi, una visione onnicomprensiva della psicologia, che da quel momento diede forma al mio coaching. La psicosintesi fu concepita nel 1911 dal dottor Roberto Assagioli, che era stato allievo di Freud e fu il primo psicanalista freudiano in Italia. Come Carl Jung, suo amico e compagno di studi, si ribellò alla visione limitata e animalesca che Freud aveva dell’uomo. Entrambi postularono l’idea che gli esseri umani possedessero una natura più elevata, e Assagioli sostenne che molte delle disfunzioni psicologiche esistenti al mondo scaturivano dalla frustrazione, o addirittura dalla disperazione per la mancanza di significato e scopo della vita. Assagioli era troppo in anticipo rispetto ai suoi tempi e la psicosintesi rimase relativamente sconosciuta sino alla fine degli anni Sessanta, quando divenne una delle principali componenti dell’allora emergente quarta forza della psicologia, nota come “psicologia transpersonale”. Essa non sostituisce la terza forza (psicologia umanistica) ma la ingloba, sviluppandola ulteriormente; vi aggiunge un senso più profondo di volontà, l’esperienza del significato, lo scopo e la direzione, la responsabilità personale e il porre gli altri prima di sé – tutti elementi fondati sull’ipotesi che ciascuno di noi abbia un’identità più profonda o un principio organizzatore più elevato. Si potrebbe affermare, e io lo sostengo, che lo scopo è transpersonale, e il significato è umanistico. La psicosintesi offre una serie di mappe e modelli, uno di essi è un modello semplificato di sviluppo personale,

che, come ogni modello, non è la verità ma semplicemente una rappresentazione.

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Non si può certo negare che nel corso degli anni, gli occidentali (in particolar modo) abbiano focalizzato le proprie energie al fine di spostarsi lungo l’asse orizzontale, e che l’abbiano fatto con gusto e con buoni risultati. L’influenza dell’Occidente e gli imperativi economici che impone sono già da molto tempo una potente forza globale ma, sia in Oriente sia in Occidente, ci sono molti che si muovono invece lungo l’asse verticale. Più progrediamo lungo uno dei due assi escludendo completamente l’altro, più ci allontaniamo dall’ideale di un percorso equilibrato tra i due, e di conseguenza aumenta la tensione.

Ai livelli più profondi di coaching, il cliente accederà alla sua mente subconscia, dove risiede gran parte del nostro dolore e del nostro potenziale non sfruttato. La parte del dolore è quella che Freud chiamava il livello inferiore dell’inconscio, analogo alla cantina di una casa: buio, freddo e umido, pieno di ragni e scheletri. Quello non è territorio del coaching: è dominio dei Psicoterapeuti. La parte abitata della casa è nota come inconscio medio, sebbene una parte di esso sia in realtà conscia – la nostra normale coscienza da svegli. Con un coaching normale espandiamo efficacemente la percentuale dell’area di coscienza normale. Il coaching transpersonale apre le porte al regno supercosciente che Assagioli paragonava all’attico, il tetto e il sole al di là, e alla riserva del nostro potenziale, della creatività, innovazione, aspirazione, delle esperienze di picco, la gioia assoluta, l’amore e la compassione. Aiutare un cliente a esplorare quest’area e a imparare ad accedervi quando lo desidera è, pertanto, l’obiettivo di un coach transpersonale. Passiamo ora dalla metafora della casa a quella dell’uovo. L’uovo è uno schema usato in psicosintesi che molti trovano utile per spiegare e comprendere la posizione delle diverse parti della psiche umana, oltre che la loro relazione. 

Il guscio esteriore dell’uovo rappresenta il contenitore della persona, ma noterai che questo è rappresentato da una linea tratteggiata permeabile: ciò indica che la coscienza umana non è imprigionata all’interno.
 

• L’inconscio medio è facilmente accessibile mediante un buon coaching. Si tratta del presente e del tempo più recente, ed è qui che si svolge la maggior parte del coaching sul luogo di lavoro.
 

• Il campo della coscienza rappresenta la consapevolezza immediata quotidiana, e la maggior parte del coaching si incentra sull’espandere quest’area per portare alla coscienza una parte maggiore dell’inconscio medio.
 

 

• L’”Io” si trova al centro del campo della coscienza, ma è nascosto in profondità, perciò occorre farlo affiorare.
 

 

• Il super-conscio è il luogo in cui risiedono il nostro potenziale, la nostra gioia, la nostra creatività, le nostre aspirazioni e le nostre esperienze di picco. È quello che il coach transpersonale riesce ad aprire.

La parte più buia, quella dell’inconscio inferiore, è la cantina della persona, con i suoi ragni, il sesso e i proverbiali scheletri nell’armadio. Si tratta del nostro passato psicologico ed è il luogo in cui potrebbero trovarsi i danni passati. È dominio di Freud e dei
psicoterapeuti, non dei coach.

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• La linea tratteggiata che collega l’”Io” al “Sé” è un ponte che, una volta solidamente costruito mediante un profondo lavoro transpersonale, collega le due parti e consente alle caratteristiche e allo scopo del Sé di manifestarsi attraverso l’Io. Rappresenta il vero
allineamento tra la volontà personale e quella universale.

• La parte centrale superiore è il “Sé” ovvero l’anima, che è allo stesso tempo individuale e
universale. È molto raro viverne l’esperienza, ma se ciò succede anche per un attimo è
l’unione gloriosa con l’universo.

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Precisazioni

Il Coaching non è Psicologia. La Psicologia si focalizza sul problema per risolverlo.

Lo Psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi, svolge attività di prevenzione o cura rispetto a malattie o disagi, fa diagnosi di personalità o valutazioni della persona. Il Coaching argina il problema.

Il Coach si concentra sulla crescita e sviluppo della persona accompagnandola

nella definizione di obiettivi raggiungibili. Le metodologie del coaching sono quindi fortemente centrate sulla soluzione; tendono ad incentivare lo sviluppo di nuove strategie di pensiero e di azione, piuttosto che cercare di risolvere conflitti e deficit del passato.

 

 "Terapia" etimologicamente è qualunque azione o trattamento della cura della persona. Ad esempio: Quell'abbraccio è stato terapeutico. In questo senso anche qualsiasi piacevole pratica può essere intesa come Terapia, da qui la cromoterapia, la musicaterapia. Di conseguenza chi svolge un'attività volta a creare uno stato di benessere a qualcuno, può essere inteso come Terapista. Il termine " Terapia " però viene anche usato in medicina, come mezzo per combattere le malattie. Per questo non possiamo definire il Coaching una Terapia (nel senso stretto e medico del termine). 

 

Il coach non crea i presupposti perché si instauri una insana dipendenza.

La durata complessiva di un percorso di Coaching ,in genere

dovrebbe richiedere un massimo di 8 /10 incontri.

 

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                                                                                                                             Napoleon Hill

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